In boschi e giardini può capitare di sentire un forte martellio provenire dagli alberi. Guardando tra le fronde scopriamo che il responsabile di questo fragore è proprio lui, il picchio. Al mondo ne esistono oltre 200 specie, di cui 9 si trovano anche in Italia, e il loro tratto distintivo, da cui deriva anche il loro nome, è sicuramente quello di picchiare con il becco i tronchi degli alberi.

Dedenikon, Picchio rosso 1, CC BY-SA 4.0
Questa loro capacità gli consente di scavare il legno per costruire il nido e di cercare insetti e larve di cui cibarsi. Un fatto interessante, che permette ai picchi di comunicare tra di loro, è che ogni specie ha un proprio ritmo e frequenza di tambureggiamento diverso da quello delle altre. Ad esempio, il picchio nero ha un rullio di 38 – 43 colpi vibrati tra i 2 e i 2,7 secondi, e può ripetere questa sequenza fino a tre volte in un minuto!
Guardando i numeri che abbiamo appena citato possiamo immaginare facilmente a quali sollecitazioni debbano essere sottoposti la testa e il becco dei picchi. Studi condotti su questi animali hanno dimostrato che nell’arco di una giornata arrivano a percuotere un tronco più di 10000 volte, e ogni volta che il becco colpisce il legno l’animale subisce una decelerazione di circa 1000g. Per avere un paragone un essere umano riesce a sopportare una forza di 5g in condizioni normali prima di svenire, mentre un pilota di caccia può arrivare a 9g con l’ausilio di speciali tute. Ma come fa allora il picchio a sopportare sollecitazioni così intense senza subire danni?

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Nel corso dei millenni l’evoluzione ha selezionato nei picchi un insieme di caratteristiche che rende tutto ciò possibile. Innanzitutto, il becco scarica energia verso la colonna vertebrale, costole e zampe verso il tronco dell’albero; i colpi poi vengono vibrati obliquamente e non direttamente, diminuendo la forza dell’impatto. Il cranio invece ha una serie di accorgimenti che sembra impediscano al cervello di subire traumi. Le ossa, infatti, sono spesse e in molti punti spugnose, in modo da evitare agli organi di muoversi e attutire eventuali urti. Il tessuto spugnoso è presente soprattutto tra cranio e becco e, assorbendo energia, si comporta come una sorta di ammortizzatore. L’osso ioide, che si trova alla base del cranio, nei picchi è molto sviluppato e fornisce un ulteriore protezione dagli urti. Su di esso si innesta una lingua dalle dimensioni ragguardevoli che, quando è ritratta, passa dietro alla scatola cranica fino a raggiungere una struttura sopra la cavità nasale; in questo modo la lingua avvolge tutto il cranio andando a stabilizzarlo e a proteggerlo.

Alastair Rae from London, United Kingdom, BlackWoods, CC BY-SA 2.0
Di recente alcuni studi hanno messo in dubbio alcune di queste teorie. Sembrerebbe ad esempio che il tessuto spugnoso tra cranio e becco non serva a ridurre gli urti; al contrario è stato ipotizzato che becco e testa si muovano all’unisono comportandosi come un martello rigido, in modo da ridurre le energie che il picchio deve impiegare per colpire il tronco. Sicuramente c’è ancora tanto da scoprire su questi affascinanti animali e sulla loro sorprendente anatomia!