PERCHÉ I NOSTRI VESTITI SI SPORCANO MA I FIORI DI LOTO NO?

Per quanto noi possiamo stare attenti, i nostri vestiti finiscono sempre per sporcarsi costringendoci a lavarli di frequente. Eppure i fiori di loto, pur vivendo in acque stagnanti e fangose e avendo colorazione bianca o comunque molto chiara, hanno sempre i petali immacolati, al punto da essere considerati sacri e simbolo di purezza da molte religioni e filosofie orientali. Ma come fa il loto a restare pulito?

Fiore di loto asiatico al giardino botanico di Adelaide
PeripitusNelumno nucifera open flower – botanic garden adelaide2CC BY-SA 4.0

Esistono due specie di questa pianta, Nelumbo lutea o fior di loto americano e Nelumbo nucifera o fior di loto asiatico, differenziatesi circa 80 milioni di anni fa. Spesso il loto viene confuso con le ninfee ma in realtà si tratta di piante appartenenti a famiglie diverse; si possono facilmente distinguere osservando il portamento di foglie e fiori sull’acqua: nelle ninfee appoggiano sulla superficie, mentre nel loto si ergono anche a un metro di altezza. La peculiarità del loto di cui dicevamo prima prende proprio il nome di effetto loto. Bisogna però dire che non è una caratteristica esclusiva di questa pianta, ma si ritrova anche in molte altre specie; ad esempio, possiamo osservarla nelle foglie di cavolo che acquistiamo al supermercato (però probabilmente “effetto cavolo” non sarebbe suonato altrettanto poetico!).

Superficie di una foglia di loto osservata al microscopio elettronico a scansione Wilhelm Barthlott & Christoph Neinhuis, www.lotus-salvinia.deNelumbo nucifera (Nelumbonaceae) Foto Barthlott & Neinhuis (published in Planta 1997)CC BY-SA 4.0

Per capire come fa la pianta di loto a non sporcarsi dobbiamo fare un passo indietro e parlare della bagnabilità di una superficie. Questa, semplificando, non è altro che la capacità di un liquido di mantenere contatto con una superficie solida, e quindi bagnarla; maggiore sarà la superficie di contatto tra liquido e solido, maggiore sarà anche la bagnabilità. Per descrivere questo fenomeno si usa l’angolo di contatto, ossia l’angolo che la tangente alla goccia di liquido forma con la superficie. Bassi angoli di contatto sono tipici di gocce piatte, che hanno perciò una grande superficie di contatto con il solido e alta bagnabilità; questi solidi vengono chiamati idrofili. Al contrario angoli di contatto superiori ai 90° descrivono gocce sferiche con minore superficie di contatto e si parla di solidi idrofobici. Nel caso di nostro interesse siamo di fronte a una superficie super-idrofobica: le foglie di loto formano angoli di contatto molto grandi con le goccioline d’acqua (superiori ai 150°), e di conseguenza la superficie di contatto è minima. Tornando all’esempio del cavolo, quando lo laviamo sotto al rubinetto possiamo osservare la formazione di goccioline d’acqua sferiche che scivolano via molto facilmente dalla foglia: è esattamente la stessa cosa che accade nel loto. E mentre scivolano via, le gocce d’acqua si portano dietro tutte le particelle di sporco che incontrano, mantenendo le foglie pulite!

Rappresentazione di gocce con angolo di contatto che diminuisce da sinistra verso destra:
– A: superficie super-idrofobica
– B: superficie idrofobica
– C: superficie idrofilica
– D: superficie super-idrofilica
MesserWolandSurface tensionCC BY-SA 3.0

Come fa il loto ad ottenere angoli di contatto con l’acqua molto grandi? La risposta si trova in parte nella composizione chimica e in parte nella struttura geometrica microscopica. Le sue foglie sono ricoperte da una cera che di per sé ha già caratteristiche idrofobiche. Ma questo fatto da solo non basterebbe a mantenere la pianta pulita: una goccia su una superficie idrofobica liscia più che rotolare tende a scivolare, e lo fa solo con grandi inclinazioni. Quando invece siamo di fronte a una superficie rugosa, diminuisce ulteriormente l’area di contatto permettendo al liquido di rotolare anche in presenza di pendenze lievi, riuscendo quindi a rimuovere lo sporco. Questo nel loto è ottenuto disponendo la cera a forma di spuntoni distanti pochi micrometri tra di loro. Ecco spiegato il segreto di foglie e fiori autopulenti! Grazie a questo meccanismo le piante si mantengono libere da eventuali particelle che andrebbero a diminuire la quantità di luce captata e di conseguenza a ridurre l’efficenza della fotosintesi clorofilliana

Comportamento delle gocce d’acqua sulla foglia del loto
Aathavan jaffnaWater droplets in lotus2CC BY-SA 3.0

Al giorno d’oggi esistono molti studi sull’effetto loto e sulle sue possibili applicazioni pratiche. Sono stati già sviluppati tessuti autopulenti che, oltre a risparmiarci la grande fatica di lavare i vestiti, avrebbero anche notevoli vantaggi per la salvaguardia dell’ambiente: meno lavaggi facciamo e più diminuisce il consumo di acqua, detersivi e corrente elettrica. Un’altra prospettiva interessante è lo sviluppo di materiali sui quali non si forma ghiaccio, cosa che permetterebbe di evitare i problemi che questo crea al funzionamento, ad esempio, delle ali degli aerei. Rivestimenti idrofobici vengono anche applicati al parabrezza delle automobili, aumentando la visibilità in caso di pioggia e riducendo la formazione di ghiaccio nelle fredde notti invernali: un bel risparmio di tempo e benzina non dover più raschiare il vetro!

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