Una imbarcazione solca il mare; all’improvviso i marinai sentono una dolce melodia, irresistibile al punto da esserne incantati. Ed ecco che appaiono loro, le sirene: con il loro canto portano sino alla morte i marinai. Nella letteratura ritroviamo svariati racconti di questo tipo. Nella mitologia greca le sirene erano raffigurate come donna nella metà superiore del corpo e uccello in quella inferiore. Nel medioevo la loro rappresentazione diventa quella che ben conosciamo, metà donna e metà pesce.
Nel corso della storia i presunti avvistamenti di sirene sono stati molteplici, eppure non c’è stato nessun ritrovamento o prova certa della loro reale esistenza. Ma allora esistono o no? In effetti i nostri mari sono realmente popolati dalle sirene: come spesso accade il mito ha un fondo di verità.
Non si tratta però di creature mitologiche, e non sono affatto ibridi tra donna e pesce. Si tratta invece di simpatici mammiferi erbivori che vivono in acque calde e costiere, conosciuti anche con il meno poetico nome di vacche di mare. Stiamo parlando dell’ordine dei Sirenia, composto da una specie di dugongo e tre di lamantino. Il dugongo lo troviamo nell’oceano Indiano e nel Pacifico occidentale; i lamantini invece si trovano in America e Africa. Fino al XVIII secolo esisteva una seconda specie di dugongo, la ritina di Steller, estintasi per l’eccessiva caccia.

Sam Farkas (NOAA Photo Library), Mother manatee and calf, CC BY 2.0
Questi animali condividono molte caratteristiche con i cetacei, l’altro gruppo di mammiferi che vive nelle acque marine. Infatti come balene e delfini, i lamantini e il dugongo hanno un corpo dalla forma idrodinamica per ridurre la resistenza dell’acqua, i loro arti anteriori sono modificati in pinne e hanno una grande coda che presenta un unico lobo nei lamantini e due nei dugonghi. Eppure i sirenii, da un punto di vista evolutivo, sono parenti molto più stretti degli elefanti che dei cetacei. Le caratteristiche che i due gruppi condividono, infatti, altro non sono che il risultato della cosiddetta evoluzione convergente: due animali che vivono nello stesso ambiente, essendo sottoposti agli stessi stimoli ambientali, finiscono per sviluppare caratteristiche e strutture simili che li rendono adattati a quel particolare ambiente. È ad esempio il caso di uccelli e pipistrelli (oppure di colibrì e sfinge colibrì, puoi trovare qui https://unoblosulbeagle.com/2023/09/10/e-possibile-che-abbia-visto-un-colibri-in-italia/ l’articolo che ne parla). Dal punto di vista evolutivo, invece, sappiamo che a un certo punto, in due eventi distinti, degli ungulati hanno deciso di ritornare nell’acqua. È per questo che i cetacei sono imparentati con gli ippopotami e i sirenii con gli elefanti.
Tornando al nostro mito, lamantini e dugonghi hanno alcune caratteristiche che potrebbero spiegare la loro identificazione con le sirene. Innanzitutto gli arti anteriori, evolutisi in pinne, hanno mantenuto l’articolazione tra braccio e avanbraccio, cosa che gli permette di poter tenere i cuccioli in una posizione che sembra quasi il nostro “in braccio”. Ma soprattutto le ghiandole mammarie (per intenderci stiamo parlando dei capezzoli), si trovano in posizione toracica, ossia la stessa posizione della donna. Il nome con cui sono conosciuti in inglese, manatees, richiama per l’appunto questa caratteristica: è una parola che deriva da lingue indigene del sud America e letteralmente indica il petto della donna.

Geoff Spiby / http://www.geoffspiby.co.za, Dugong dugon, CC BY-SA 3.0
L’altro nome con cui dicevamo essere noti i sirenii, ossia vacche di mare, è dovuto alla loro alimentazione. Lamantini e dugonghi infatti passano le giornate a brucare alghe e piante acquatiche, esattamente come fanno le mucche nei prati. Questa dieta gli consente di immagazzinare una discreta quantità di gas nell’intestino, usata per regolare il galleggiamento: se trattenuto, il gas gli consente di galleggiare, al contrario se emesso sottoforma di flatulenza gli consente di andare verso il fondale marino.
Al giorno d’oggi i sirenii devono fare i conti con diverse minacce, come il cambiamento climatico e la riduzione del loro habitat. Tra le varie insidie che devono affrontare c’è anche lo scontro con le nostre imbarcazioni. Le cicatrici provocate da eliche e motori sono infatti talmente comuni da venire usate dai ricercatori per identificare i singoli individui (potremmo paragonarle a delle impronte digitali).
Per avere l’occasione di osservare i lamantini senza muoversi dal divano di casa esiste il sito di un’organizzazione che promuove la salvaguardia dei lamantini della Florida e del loro habitat, https://savethemanatee.org/manatees/webcams/. Oltre a offrire molte informazioni e curiosità sui lamantini, permette anche di osservare i video in diretta di alcune webcam poste in ambienti abitualmente frequentati da questi animali.